Newsletter Culmine e Fonte n. 5/2016 articoli
Newsletter Culmine e Fonte n. 5/2016
Sommario:
Le Sette Opere di Misericordia Spirituali nei percorsi artistici romani
Maria Novella Lorenzale
In Italia sec. XVI, dopo il trionfo della Controriforma, con l’istituzione del rito tridentino e il conseguente riordino della dottrina, il catechismo aggiunge la settima opera di misericordia corporale all’ originario gruppo di sei . Inoltre istituisce un nuovo settenario di opere di misericordia: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Queste opere non sono volte all’ ottenimento di un beneficio temporale, ma sono il cardine di benefici di ordine spirituale, che trovano la loro completezza nel lungo elenco delle Beatitudini, attraverso cui si delinea e perfeziona il percorso del cristiano. L’ iconografia delle sette opere di misericordia spirituale è del tutto inesistente, trattandosi di temi non facilmente traducibili in immagine, mentre i riferimenti sono deducibili dai moltissimi episodi illustranti la vita di Gesù e dei santi. Le prime tre opere di misericordia spirituali sono rivolte prevalentemente agli increduli, ai critici e agli apostati, che agitavano spesso questioni di interpretazione dottrinale, rischiando di porsi ai margini della Chiesa. Fin dall’ epoca alto medioevale, la raffigurazione degli apostoli, degli evangelisti e dei padri della Chiesa era destinata agli spazi del coro, o dell’ arco trionfale o dei pennacchi delle cupole con chiaro intento simbolico: questi personaggi rappresentavano con i loro scritti, i “pilastri“ della dottrina . Ogni Personaggio recava come attributo il “volumen” o libro sacro, da cui attingere la Sapienza per confutare i dubbiosi, gli ignoranti e i peccatori. Talvolta, nella decorazione musiva ricorreva un’ iconografia simbolica bizantineggiante che presentava un evangeliario collocato sul cuscino di un trono. Solo successivamente l’ iconografia medioevale e controriformista, dopo gli scismi e le diatribe dottrinali comincia a dare risalto all’ immagine di Gesù che esercita il magistero. Il pittore Luca Giordano, con il suo stile movimentato dai contorni sfrangiati, nella “Disputa con i dottori“ (1656-60 ) della Galleria Corsini, presenta lateralmente il giovane Gesù, assiso su uno scranno del tempio, che si impone in sapienza sui dottori; questi occupano il centro della scena, sommersi da testi sacri alla rinfusa, nei quali cercano conferme alla Parola che ascoltano [fig.1 ]. Ma è soprattutto nella raffigurazione del “Discorso della montagna” che si delinea con chiarezza la figura di Cristo Maestro che insegna, consiglia , ammonisce , che definisce beati i misericordiosi e che induce a imitarlo, non con la prepotenza della ragione ma con la mitezza del cuore. Dall’antica iconografia di Cristo tra i discepoli, già visibile nei frontali di sarcofagi paleocristiani di tipo dogmatico , si giunge nel corso del tempo a elaborare l’ episodio evangelico specifico. Cosimo Rosselli, nel 1481, lasciò la corte medicea per dipingere nella cappella Sistina l’ affresco con l’ episodio evangelico in cui Cristo dall’ alto di una collina ammaestra gli ignoranti, quella gente comune, a cui i farisei occultano e negano volutamente la conoscenza della vera dottrina, “rubandone la chiave … caricando gli uomini di pesi insopportabili“ (Lc 11, 46 e 52). In quella occasione vengono pronunciate da Gesù le otto Beatitudini, esortazioni al comportamento misericordioso verso il prossimo e condanna per gli ipocriti. Nello stesso riquadro l’autore dipinge anche il Cristo che guarisce il lebbroso, segnato nell’ anima e nel corpo dal male [fig.2]: i due episodi così associati rispettano il racconto evangelico delle guarigioni operate tra le folle; inoltre rafforzano la correlazione tra il misericordioso insegnamento della Parola e la guarigione dell’ anima. La figura di Cristo impersona anche chi sopporta pazientemente le persone moleste, e perdona le offese. Nel medioevo si diffondono le ” Vere Icone” del volto di Cristo sofferente ma vivo, alcune di esse oggetto di forte devozione popolare; da esse si sviluppa il tema pittorico dell’ Ecce Homo coronato di spine, fino alla completa drammatizzazione delle scene che sempre più insistono sulle molestie e l’ accanimento degli aguzzini. Le raffigurazioni della Cattura di Cristo sono più aderenti al tema della paziente sopportazione delle persone moleste: Gesù non si ribella, ma pronunciando come tuono le parole “ Io sono", fa indietreggiare e cadere a terra i soldati del tempio che lo cercano (Gio. 18, 5). Nella Galleria Borghese, possiamo confrontare la Cattura in due diverse interpretazioni artistiche, quella di Giuseppe Cesari, il Cavalier D’ Arpino, manierista elegante e raffinato di fine Cinquecento e del caravaggista e bambocciante Dirck van Barburen , di vent’ anni più giovane. Il primo si attiene al racconto evangelico evidenziando le agitate soldataglie dalle pose convulse, la colluttazione tra Pietro e Malco in contrasto con l’ obbedienza alla Volontà Divina nella mansueta e composta figura di Cristo [fig. 3]. Nella interpretazione del Van Barburen invece, l’ inquadratura a tre quarti del vero, secondo i modi caravaggeschi, rende più intensa la paziente sopportazione di Cristo colto nell’ atto di preghiera [fig. 4]. Entrambi gli artisti rivestono gli aguzzini dei panni e delle armature a loro contemporanee, come se l’ oltraggio fosse ripetuto allora, come in tutte le epoche.
Il perdono giunge dalla Croce. Guido Reni dipinge per la chiesa della Trinità dei Pellegrini nel 1625, non una semplice Crocifissione , ma il dogma trinitario, punto fermo delle questioni dottrinali controriformistiche. Partendo da una delle più tradizionali iconografie, procede dal Padre che aprendo misericordiosamente le braccia, mediante l’ opera dello Spirito Santo, offre il Figlio all’ umanità. Cristo si slancia a braccia aperte verso chi guarda: nell’ umile atto del capo inchinato, perdona la grande offesa fatta dagli uomini , non a sé stesso, ma a Dio [fig. 5]. E così non resta che tornare pentiti e afflitti al Padre…come nella vicenda Biblica del ritorno del figliol prodigo, raffigurata più volte dal Guercino. Il dipinto conservato presso la Galleria Doria Pamphili [fig.6], sottolinea come il padre pietoso accolga la richiesta di misericordia del figlio, implorante, visibilmente e profondamente pentito: un chiaro riferimento al sacramento della confessione, che interseca misericordia e pentimento sincero. Una variante dello stesso episodio databile al 1627, visibile a Roma presso la Galleria Borghese, mette in risalto l’ episodio della vestizione del figlio ritrovato [fig.7 ]. Altre versioni posteriori agli anni ’40 , ripropongono nuovamente il momento dell’ incontro col padre, l’ abbraccio di riconciliazione col figlio piangente, esplicitando la misericordiosa consolazione dell’ afflitto [fig.8]. La stesso atteggiamento, un secolo dopo, verrà ripresa da Girolamo Pompeo Batoni [fig. 9] che amplifica il gesto del padre, in un abbraccio che spalanca anche il mantello, come fosse una protezione e un rifugio nel quale il figlio si nasconde. Destino comune di queste ultime opere è quello di far parte di collezioni straniere. L’ antica iconografia del mantello aperto che accoglie e protegge come un ombrello i fedeli era tipico delle immagini della Madonna della Misericordia. Giambattista Salvi detto Il Sassoferrato, interprete accurato della iconografia della Vergine, coglie il senso della misericordia insito nell’atto del pregare per i vivi e per morti. Nella chiesa romana di S. Sabina all’ Aventino, dipinge nel 1643, su committenza di Olimpia Aldobrandini Pamphili, principessa di Rossano, la tela della Madonna in trono con Bambino, che apre il suo mantello con un ampio gesto e consegna il Rosario ai S.S. Domenico e Caterina da Siena [fig. 10]. L’ artista interpreta la tradizionale iconografia con la consueta compostezza dei personaggi, nitidezza di colore e grazia, aggiungendo un lieve moto di vivacità, alla maniera del Domenichino, suo maestro. La pratica del Rosario, dal medioevo in poi, aveva una forte valenza di protezione contro il pericolo personale e comune che, in quel tempo, poteva essere rappresentato dalle guerre europee e dall’ espansione dell’ impero Ottomano in occidente, ostacolata a Lepanto nel 1571, ma ancora minacciosa . L’ iconografia tipica della Madonna del Rosario, pressoché immutata fino ai giorni nostri, continua a rappresentare un invito alla preghiera, opera di misericordia “per noi e per il mondo intero”.
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