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Newsletter Culmine e Fonte n. 4/2016 articoli

Newsletter Culmine e Fonte n. 4/2016

Sommario:

 

MISERICORDIA: UNO SGUARDO DI ACCOGLIENZA E CONDIVISIONE

P. Eduardo López-Tello García, osb


Dio è misericordia. Questa è la descrizione di Dio più sconvolgente che mai sia stata fatta nella storia delle religioni. Nessuna di esse è in grado di esprimere la vicinanza di Dio a noi in un modo più umano. Infatti, essa mostra come Dio non è alieno alle nostre difficoltà. Al contrario. Egli è qualcuno che sente le nostre miserie, desolazione, infelicità, peccato, la nostra sofferenza. Egli prova il nostro dolore come proprio. Egli si fa uguale noi per soffrire come noi soffriamo. Dio è simile a noi, sente come noi, perciò noi possiamo sentire il suo abbraccio nella profondità della nostra desolazione, perciò egli è in grado di sorreggerci e sollevarci per donarci una speranza nella notte del dolore.

Ancora di più, la misericordia non è solo cosa di Dio. Noi, dal canto nostro, siamo stati chiamati a identificarci con questo Dio, a diventare ciò che egli è. Egli è amore, perciò noi dobbiamo amare come egli ama, essere “misericordia” così come egli lo è. Parliamo molte volte in modo indifferenziato di amore e misericordia, invece, quando si tratta di noi c'è, fra tra l’uno e l’altra, una piccola ma importante differenza. L'amore è uno sguardo di tenerezza e affetto verso i fratelli in ogni circostanza della vita, positiva o negativa: il marito che accarezza la moglie, il bambino che abbraccia la mamma. La misericordia, invece, è il modo concreto di vivere l'amore nei confronti dei fratelli che soffrono o sono in difficoltà: l'uomo che vede gli esuli che vengono verso l’Europa e sente un fremito che obbliga a fare qualcosa. Ciò vuol dire che la misericordia implica avere un cuore che sia in grado di commuoversi nei confronti dei feriti dalla vita e dal peccato.

Quando parliamo della misericordia, molto spesso dobbiamo dire «avere» misericordia. Infatti, per essere misericordiosi non basta provare ciò che provano i fratelli. Non è un sentimento, è un'opera da eseguire. Bisogna agire affinché gli altri sentano il nostro sguardo di amore, vedano un gesto di compassione che tocchi e guarisca le loro ferite. Se riusciamo a sfiorare gli altri con le nostre opere, la misericordia diventa il modo nel quale noi facciamo presente Dio nella loro vita, non con parole vuote, ma con segni che parlano da sé. Nell'agire con misericordia facciamo trasparire Dio, lo rendiamo visibile, «tangibile», amabile, adorabile. Solo un amore che si fa misericordia è in grado di trasformare il cuore indurito degli altri in un cuore pieno di compassione.

La misericordia è, dunque, l'amore messo in atto. Perciò le opere di misericordia sono state una costante nella storia della Chiesa, sin dalla stessa vita di Gesù. Egli ha guardato il dolore dell'uomo ed è divento medico dei corpi e delle anime dei suoi coetanei. Ha guarito le ferite e le malattie e, similmente, ha guarito l'anima di quanti si rivolgevano a lui. Questo doppio rapporto di Gesù con gli uomini del suo tempo giustifica perché la Chiesa ha diviso le opere di misericordia in “corporali” e “spirituali”. Dobbiamo curare il corpo e lo spirito dei nostri fratelli.

Lo Spirito suscita nella vita della Chiesa la dedizione alla cura delle malattie fisiche, ma anche alla cura dello spirito dolente dell'uomo. Essa assume il compito di unire le opere di carità spirituali e corporali. Non sono comprensibili le une senza le altre, ma la tradizione della Chiesa le ha separate per motivi catechetici. Dato che le opere di misericordia sono il frutto dello Spirito, partiamo dalla considerazione delle opere di carità spirituale nel percorso che ci apprestiamo a fare.

1) Consigliare i dubbiosi

Il dubbio è consustanziale alla fede. Se non ci fosse il dubbio, non sarebbe necessaria la fede. Non dubitare significa avere una contemplazione diretta e immediata di Dio, il che soltanto può avvenire dopo la nostra morte. Prima dell'arrivo di quel momento di perfetta conoscenza di Dio, la nostra vita è segnata dal dubbio. Esso diventa la fonte più importante di sofferenza nella nostra strada di fede: non vedere Dio, non riuscire a trovarlo, non sapere quale strada intraprendere.

Molte persone in dubbio si sono rivolte ai grandi maestri spirituali che gli hanno offerto il loro consiglio. I padri e le madri del deserto, nonostante il loro raccoglimento lontano dalla società hanno raccolto discepoli e devoti da ogni luogo, proprio per il “balsamo” del loro insegnamento. I padri della Chiesa, uomini forti nella fede, hanno confortato i loro coetanei nella strada per scoprire l'azione di Dio in loro. Forse un caso eminente è sant'Agostino, che condivide nelle Confessioni la sua esperienza spirituale, il suo percorso di fede perché i suoi consigli, il suo esempio possa aiutare gli altri nella loro fede. La stessa esperienza la offrirà secoli dopo san Ignazio di Loyola negli Esercizi spirituali, sintesi della sua strada alla scoperta dello spirito che serve similmente a consigliare gli altri.

Tutti noi siamo chiamati a condividere la nostra fede, anche se non siamo grandi maestri spirituali, anche se siamo dubbiosi: grazie al modo con cui abbiamo vissuto la nostra fede o la nostra preghiera tutti abbiamo superato il dubbio in un momento o in un altro. Siamo chiamati tutti a condividere questa esperienza, a offrire agli altri ciò che i primi maestri chiamavano una «parola di vita», vale a dire, una parola, una frase, un gesto che sorregge il dubbioso. Questa «parola di vita» è il modo che tutti abbiamo di consigliare i dubbiosi. È un gesto di amore, un gesto di carità.

2) Insegnare agli ignoranti

L'insegnamento degli ignoranti è stato uno dei primi compiti della Chiesa. Proprio il catecumenato, configuratosi attorno il secolo IV, è servito per formare nella fede innumerevoli generazioni di cristiani. Successivamente le scuole medievali, che hanno dato origine alle grandi università, hanno avuto lo stesso scopo. Gli ordini monastici e caritativi hanno aperto, dal medioevo alla contemporaneità, scuole per la formazione di bambini e giovani e hanno seguito questa stessa strada. L'insegnamento degli ignoranti non si deve fare soltanto nelle scuole e le università. Lo stesso compito lo dobbiamo adempiere sempre, pur nella nostra piccolezza. Ad esempio, uno dei primi e più importanti compiti della Chiesa è l'attività catechetica nelle parrocchie alla quale tutti noi siamo chiamati a contribuire. La concretezza e l'obbligo di questa attività è una delle esigenze più grandi che abbiamo oggi. Soltanto quando i credenti sono ben formati nella fede, essi possono superare i dubbi. Dal canto nostro, l'obbligo dell'insegnamento della fede richiede la nostra competenza e formazione, da ottenere grazie alle istituzioni che si occupano di questo fornendo gli strumenti adatti a tale servizio ecclesiale.

3) Ammonire i peccatori

L'ammonimento dei peccatori è senz'altro una delle opere di misericordia più difficile da adempiere. Con la scusa di adempiere quest'obbligo di carità, delle volte cadiamo nella critica contro gli altri, senza avere riguardo per la carità. L'ammonimento ai peccatori si trova, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, così come in numerosi autori spirituali. Con esso si adempie il comando del Signore: «Se tuo fratello pecca, va' e correggilo fra te e lui solo» (Mt 18, 15). Nell'eseguire quest'indicazione del Signore, dobbiamo far notare che il consiglio avviene «fra te e lui». L'intimità e il dialogo è l'esigenza più grande perché questa opera sia veramente un'opera di misericordia. Altrimenti, se fatta davanti agli altri, può diventare una mancanza di carità. Oltre all'intimità, la seconda esigenza è l'umiltà. Non dobbiamo correggere il peccatore guardandolo dall'alto della nostra giustizia, come se noi fossimo santi e l'altro qualcuno al di sotto di noi. Questo no. Invece dobbiamo guardarlo «dal basso», nella consapevolezza che egli è una persona sofferente che ha bisogno di essere sorretta e accompagnata.

Fino a non tanto tempo fa, quest'opera di misericordia avveniva considerata come la forma di consiglio al peccatore. Invece, quando il Signore ci comanda di correggere il peccatore, non ci dice di «consigliare» il peccatore, bensì di correggerlo. Questo si può fare con le opere, e sarebbe il modo più adatto per la società odierna: un’opera di carità è testimonianza che chiama agli altri alla conversione.

4) Consolare gli afflitti

Spesso l'afflizione porta al dubbio ma, in se stessa, genera ferite difficilmente guaribili. L'afflizione nasce dalle difficoltà e disagi che viviamo nella nostra quotidianità. La vita di ogni giorno porta molti disagi con sé. Il grado più grande dell'afflizione è la desolazione. Quando ci confrontiamo con essa ci domandiamo dove è Dio. Non riusciamo a vederlo, non riusciamo a trovarlo. Basta ricordare ciò che avviene quando muore in modo inatteso una persona a noi cara. Ci domandiamo perché Dio è assente, sentiamo l'afflizione che generano il vuoto della perdita subita e la mancanza di fede.

Come rispondere? Senz'altro con la consolazione. Asciugare le lacrime dei sofferenti è uno dei compiti che ci assalgono continuamente nella nostra vita di fede. In questo caso, come nell'anteriore, bisogna dire che la consolazione degli afflitti non deve necessariamente avvenire sotto la forma di un discorso. Tante volte è molto più importante sedere accanto all'altro, avere uno sguardo di tenerezza, abbracciare con delicatezza. Sono gesti che suscitano la condivisione dei sentimenti e portano a condividere la sofferenza condivisa e l'amore per raggiungere così la guarigione.

Afflizione e desolazione sono dolori dell'anima. Il male e la sofferenza che ci portiamo dietro feriscono e la vera misericordia significa conoscere il cuore dell'uomo e saper giungere a lenire quelle ferite, avendo compassione, sentendo e sostenendo insieme il dolore dell'altro. Questo sta alla radice stessa, etimologica, della parola misericordia, e alla radice di tutte le altre opere di misericordia, come ricorda sant'Agostino:

«Che cosa è la misericordia? Non è altro se non un caricarsi il cuore di un po' di miseria [altrui]. La parola "misericordia" deriva il suo nome dal dolore per il "misero". Tutt'e due le parole ci sono in quel termine: miseria e cuore. Quando il tuo cuore è toccato, colpito dalla miseria altrui, ecco, allora quella è misericordia. Fate attenzione pertanto, fratelli miei, come tutte le buone opere che facciamo nella vita riguardano veramente la misericordia. Ad esempio: tu dai del pane a chi ha fame; daglielo con la partecipazione del cuore, non con noncuranza, per non trattare come un cane l'uomo a te simile. Quando dunque compi un atto di misericordia comportati [così]: se porgi un pane, cerca di essere partecipe della pena di chi ha fame; se dai da bere, partecipa alla pena di chi ha sete; se dai un vestito, condividi la pena di chi non ha vestiti; se dai ospitalità condividi la pena di chi è pellegrino; se visiti un infermo quella di chi ha una malattia; se vai a un funerale ti dispiaccia del morto e se metti pace fra i litiganti pensa all'affanno di chi ha una contesa. Se amiamo Dio e il prossimo non possiamo fare queste cose senza una pena nel cuore. Queste sono le opere buone che provano il nostro essere cristiani» (Disc. 358A,1)

5) Perdonare le offese

Il perdono delle offese è stato caratterizzante dei cristiani sin dai primi momenti, quando essi erano in grado di perdonare i loro persecutori. La configurazione del perdono come caratteristica della Chiesa è avvenuta mediante il sacramento del perdono dei peccati o penitenza. Il perdono che noi riceviamo chiede, dal canto suo, perdonare gli altri. Ci impegniamo ad esso nel Padre nostro: «perdona le nostre offese così come noi perdoniamo i nostri debitori». Non c'è perdono per noi, se prima noi non abbiamo perdonato.

Il perdono delle offese, oltre che una testimonianza di amore, è una testimonianza di umiltà. Implica comprendere che l'altro ha potuto agire in un modo a noi offensivo per ignoranza, disconoscenza delle nostre circostanze o altri motivi a noi nascosti. Si tratta di aprire di uno spazio per l'altro in modo che egli possa respirare, anche quando ci sentiamo offesi. Non possiamo, non dobbiamo condannare l'altro, giacché soltanto Dio è in grado di chiedere ragione per i peccati. Soltanto lui conosce il cuore.

6) Sopportare pazientemente le persone moleste

San Benedetto chiede nella sua Regola (capitolo 72, 5) di sopportare pazientemente le debolezze del corpo e lo spirito. Questa è forse una delle esperienze quotidiane alle quali non facciamo caso, ma che è fondamentale per la vita spirituale. Gli altri ci risultano molesti, sia per ragioni fisiche che spirituali. Fisiche: non riescono a seguire il nostro ritmo, hanno problemi di mobilità, non sono in grado di sopportare le stesse difficoltà che noi sopportiamo. Ma non ci danno fastidio soltanto per le loro limitatezze fisiche. Ancora più importanti sono le spirituali: gli altri sono deboli nello spirito, deboli nella fede, deboli nella morale, deboli nell'amore. Quante volte ci sentiamo portati a condannare quelli che non hanno un atteggiamento morale coerente con la fede? Ognuno deve rispondere a questa domanda, nella sicurezza di dover rispondere che noi non dobbiamo giudicare, bensì amare gli altri nelle loro debolezze.

7) Pregare Dio per i vivi e per i morti

L'ultima opera di misericordia spirituale è una confessione di fede nella risurrezione. Sin dall'inizio della Chiesa, i grandi autori hanno confessato la risurrezione della carne. Tertulliano, Ireneo hanno sottolineato come la carne accoglie la salvezza, la misericordia di Dio, lo Spirito  Santo. Se il corpo dell'uomo è stato tempio dello Spirito Santo, non si possono trattare gli altri uomini con mancanza di cura verso il loro corpo una volta che sopraggiunge la morte.

Noi cristiani siamo chiamati a trattare con cura e riverenza il corpo esanime dei nostri cari. Non possiamo abbandonarli. Superare il rigetto della morte è confessare la risurrezione. Pregare davanti ai nostri cari defunti è dare voce al loro corpo senza voce. Accompagnare i defunti al cimitero e affermare la nostra attesa della risurrezione della carne come futuro certo che ci attende a tutti.

In conclusione, dobbiamo dire che le opere di misericordia spirituale ci portano a condividere lo Spirito di Dio, lo Spirito dell'amore, rendendo testimonianza con i nostri gesti, sguardi, parole di colui che ci ama con amore eterno. La misericordia è la espressione nell'oggi della Chiesa dell'eternità dell'amore di Dio.

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